LA CORTE D'APPELLO DI MILANO 
     Sezione delle Persone, dei Minori, della Famiglia (penale) 
 
    Composta dai magistrati: 
        Dott. Maria Cristina Canziani, Presidente. 
        Dott. Pietro Caccialanza, Consigliere rel. 
        Dott. Serena Baccolini, Consigliere. 
        Dott. Susanna Raimondi, Consigliere on. 
        Dott. Fabian Oscar Ottaviano, Consigliere on. 
    ha pronunciato la seguente ordinanza nei confronti di S...  V...,
nato  a...,  in  atto  detenuto  per  questa  causa  presso  l'I.P.M.
«Beccaria» di Milano, difeso dall'avv.  Margherita  Calvi  Parisetti,
con studio in Milano, via S. Maria Valle 2/A. 
    All'esito dell'udienza del 12 maggio 2016, svoltasi  in  presenza
di S... V... e del difensore, sentito il P.G. (che si e' rimesso alla
decisione della Corte) osserva  con  istanza  depositata  in  data  9
maggio  2016  la  difesa  di  S...  V...  ha  proposto  incidente  di
esecuzione  ai  sensi  dell'art.  666  c.p.p.  avverso  l'ordine   di
esecuzione per la carcerazione n. 500/2016 SIEP, emesso  in  data  26
aprile 2016 dalla Procura  Generale  presso  la  Corte  d'Appello  di
Milano. 
    Con tale ordine di esecuzione il Procuratore Generale ha disposto
la carcerazione di S... V... in relazione alla pena detentiva di mesi
sei di reclusione (oltre alla  pena  pecuniaria  di  euro  150,00  di
multa), a lui inflitta: 
        con sentenza della Corte d'Appello di Milano (sez. Minori) n.
199/2015 del 17 settembre 2015, divenuta irrevocabile il 23  febbraio
2016; 
        per i reati di cui all'art. 628 I e III comma n. 1 c.p. e  di
cui all'art. 4 legge 110/75, commessi in Cormano l'11 gennaio 2010; 
        in aumento sulla  pena  inflitta  con  sentenza  della  Corte
d'Appello di Milano (sez. Minori)  n  1/2011  del  13  gennaio  2011,
divenuta irrevocabile il 1° marzo 2011. 
    In data  5  maggio  2016  il  Procuratore  Generale  ha  respinto
l'istanza del condannato, volta ad ottenere la revoca dell'ordine  di
esecuzione e la sua  sostituzione  mediante  ordine  con  sospensione
della pena, ex art. 656 comma 5 c.p.p., rilevando che S...  e'  stato
condannato per un reato, rapina aggravata, ostativo  all'applicazione
di tale norma. 
    Con l'incidente di esecuzione di cui qui si discute, la difesa di
S... V... ha  sollevato  «questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 656 comma 9, lett. a) c.p.p.,  in quanto in  conflitto  con
gli articoli 27 terzo comma e 31 della Costituzione, nella  parte  in
cui si riferisce a titolo esecutivo per reati commessi da minorenne»,
rilevando come la  preclusione  dell'operativita'  della  sospensione
della pena ex art., 656 comma 9 lett. a) c.p.p.  in  presenza  di  un
reato ostativo alla sospensione stessa «e' contraria alla  ratio  che
guida l'intera disciplina della giustizia minorile, che intende  come
prioritario l'interesse a promuovere o a rimuovere  gli  ostacoli  ai
processi  evolutivi  dell'adolescente  anziche'  sancirne  gli  esiti
negativi, in vista del  preminente  obiettivo  di  inserimento  nella
societa'». 
    Va dato atto che gia' in un recente procedimento, rubricato al n.
25/15 R. Es., la Corte d'Appello di Milano ha rimesso gli  atti  alla
Corte costituzionale per una questione di legittimita' della medesima
norma, relativamente ad altro ordine di esecuzione n. SIEP 1189/2015,
emesso in data 25 novembre 2015 a carico dello stesso  V...  S...  si
trattava anche li' dell'esecuzione di  una  pena  detentiva  inflitta
(anche) per il reato di  cui  all'art.  628  III  comma  n.  1  c.p.,
ostativo alla sospensione dell'ordine di esecuzione ex art. 656 n.  9
lettera a) c.p.p. 
    La questione cola' sollevata con ordinanza del 2  febbraio  2016,
depositata il 19 febbraio 2016, viene anche in questa sede  riportata
in quanto da questa Corte del tutto condivisa, con una sola  aggiunta
di cui si dira' al termine. 
    Questa Corte ritiene la proposta questione  di  costituzionalita'
non manifestamente infondata per le ragioni che seguono. 
    Il quadro normativo e giurisprudenziale che interessa il caso  di
specie puo' essere cosi' sintetizzato: 
        l'art. 656 c.p.p, nel testo attualmente in vigore, prevede al
comma  5  che  il  Pubblico  Ministero,  con  decreto  notificato  al
condannato e al difensore, sospenda l'esecuzione della pena detentiva
non superiore a tre anni, avvisando il condannato che ha facolta'  di
presentare entro 30 giorni domanda  per  ottenere  dal  Tribunale  di
sorveglianza alcune misure alternative previste dalla legge 354/1975.
Con tale norma il legislatore ha inteso evitare  a  chi  fosse  stato
condannato a pena inferiore a tre anni l'ingresso in carcere  per  il
tempo necessario ad avanzare l'istanza  di  misura  alternativa  alla
detenzione e a consentire lo svolgimento del relativo procedimento; 
        il comma 9, lett, a), dello stesso articolo, prevede  che  la
sospensione non possa essere disposta a favore dei condannati  per  i
delitti di cui all'art.  4-bis  della  legge  354/1975  e  successive
modificazioni; 
        l'art. 4-bis della  legge  354/1975  e'  articolato  su  piu'
«gruppi» o «fasce» di delitti per i quali il legislatore ha, a monte,
presunto una specifica pericolosita' sociale dei condannati, tale  da
porre divieto di concessione dei «benefici» elencati al comma 1 dello
stesso articolo; 
        in particolare, per quanto qui interessa, l'art. 4-bis, comma
1-ter, prevede che «... i benefici di cui al comma 1  possono  essere
concessi, purche' non vi siano  elementi  tali  da  far  ritenere  la
sussistenza  di  collegamenti  con   la   criminalita'   organizzata,
terroristica o eversiva, ai detenuti o internati per i delitti di cui
agli articoli... 628, terzo comma c.p...»; 
        secondo la giurisprudenza della  Corte  di  legittimita',  il
rinvio operato dall'art. 656 comma 9, lett. a) c.p.p., all'art. 4-bis
della legge 354/75, come negli anni modificata, ha natura di  «rinvio
formale (dinamico) e non recettizio (statico), perche' non  recepisce
materialmente la norma richiamata e i suoi presupposti soggettivi  di
applicabilita', ma  si  limita  ad  affidare  alla  norma  richiamata
l'individuazione delle categorie  di  delitti  per  i  quali  non  si
applica la sospensione delle pene detentive  brevi»  (Cass.,  Sezioni
Unite Penali 24561/2006), risultando  cosi'  evidente  l'intento  del
legislatore  di  assegnare   esclusivo   rilievo,   ai   fini   della
sospensione,  al  profilo  oggettivo  del  mero  titolo   del   reato
giudicato. 
    Alla stregua del delineato  quadro,  il  divieto  di  sospensione
opera, quindi, semplicemente in presenza dei titoli di reato ostativi
elencati nell'art. 4-bis  legge  n.  354/1975,  a  prescindere  dalla
sussistenza delle condizioni - quali l'assenza di collegamenti con la
criminalita'  organizzata  -  che  nel  contesto  della  disposizione
penitenziaria   consentirebbero   la   concessione    delle    misure
alternative. Sicche', anche nei casi in cui sia possibile ottenere  i
benefici penitenziari, il condannato per  taluno  dei  reati  di  cui
all'art. 4-bis legge n. 354/1975  non  usufruisce  della  sospensione
dell'esecuzione. 
    Ritiene questa Corte che nei confronti di imputato condannato per
reati   commessi   da   minorenne,   il   divieto   di    sospensione
dell'esecuzione della pena in caso di reato ostativo presenti profili
che fanno dubitare della costituzionalita' dell'art.  656,  comma  9,
lett. a), nella parte in cui si riferisce anche  a  titolo  esecutivo
per reati commessi da minorenne, con riferimento all'art. 27 comma  3
della  Costituzione,  in  relazione  all'art.  31   comma   2   della
Costituzione secondo  cui  la  Repubblica  «protegge  la  maternita',
l'infanzia e la gioventu', favorendo gli istituti  necessari  a  tale
scopo», rafforzandosi, con tale considerata esigenza  di  protezione,
il principio contenuto al  terzo  comma  dell'art.  27,  per  cui  la
sanzione  penale  deve  costituire  occasione  per  il  reinserimento
sociale e la risocializzazione del condannato minorenne. 
    Nel  processo  penale  minorile  disciplinato  dal  decreto   del
Presidente della Repubblica n. 448/1988, si realizza una  connessione
forte tra le richiamate  norme  costituzionali,  in  quanto  l'intera
normativa del decreto e' attraversata da una  tensione  ideale  verso
l'obiettivo che quel processo sia il piu' possibile  confacente  alle
esigenze educative del minore  imputato,  sicche'  espressamente  nel
decreto si prevede che il processo  penale  non  interrompa  processi
educativi in atto (art. 19, comma 2), si regolano plurimi  interventi
finalizzati  a  non  intralciare  lo   svolgersi   di   un   percorso
educativo-evolutivo-relazionale, nel presupposto  che  l'interruzione
potrebbe   cagionare   pregiudizio   a   personalita'   in   via   di
strutturazione, e si prevedono  istituti  inquadrabili  in  un  ampio
principio  di   residualita'   della   detenzione   quale   paradigma
sanzionatorio. 
    Peraltro,  anche  prima  che  venisse  emanato  il  decreto   del
Presidente della Repubblica n. 448/1988, la Corte costituzionale gia'
aveva sottolineato, in numerose decisioni, che il processo  penale  a
carico  di  imputati  minorenni  si  caratterizza  per  la  specifica
funzione   di   recupero   del   minore,   assunta    a    «peculiare
interesse-dovere dello Stato», anche a  scapito  della  realizzazione
della pretesa punitiva, che resta subordinata  rispetto  al  recupero
del minore (sent. 49/1973), essendo l'imputato  del  processo  penale
minorile un soggetto protetto dalla Costituzione nel suo diritto allo
sviluppo. 
    La compiuta realizzazione dei principi sopra richiamati  richiede
che di essi si tenga conto non solo  nella  fase  di  cognizione  del
processo penale, ma anche in quella esecutiva,  attualmente  regolata
dall'Ordinamento penitenziario degli adulti, non  risultando  emanata
la «apposita legge» prevista dall'art. 79 della legge 354/1975. 
    Proprio con riferimento alla materia dell'esecuzione della  pena,
la Corte costituzionale, sul rilievo della particolare finalizzazione
del processo penale per i minorenni, ha gia' piu' volte  sottolineato
come l'assoluta parificazione tra adulti e  minori  possa  configgere
con le esigenze di specifica individualizzazione e  di  flessibilita'
del trattamento del detenuto minorenne,  ribadendo  che  l'essenziale
finalizzazione al recupero deve  caratterizzare  tutte  le  fasi  del
trattamento penale del minore,  ivi  compresa  quella  di  esecuzione
della pena, e che la pura e semplice estensione ai detenuti minorenni
della disciplina generale dell'Ordinamento penitenziario disposta  in
via provvisoria dall'art. 79 della legge contrasti con le esigenze  -
discendenti dalla considerazione unitaria degli articoli 3, 27  terzo
comma,  30  e  31  della  Costituzione  -  del   recupero   e   della
risocializzazione dei minori devianti,  esigenze  che  comportano  la
necessita' di differenziare il trattamento dei minorenni rispetto  ai
detenuti   adulti   e   di    eliminare    automatismi    applicativi
nell'esecuzione della pena (Corte Cost. sentenze 125/1992; 109/1997). 
    In  questa  direzione,  possono  in  particolare  richiamarsi  le
sentenze con le quali la Corte costituzionale  ha  statuito  che  non
debbano  esservi  preclusioni   soggettive   all'applicazione   delle
sanzioni sostitutive per i minorenni (sent.  1  6/1998);  che  per  i
minorenni i benefici dell'ordinamento  penitenziario  possono  essere
concessi sulla pena derivante  da  conversione  di  pena  sostitutiva
(sent. 109/1997); che per i  minorenni  i  permessi  premio  ex  art.
30-ter Ordinamento penitenziario possono essere concessi senza limiti
temporali in caso di reato  commesso  successivamente  al  titolo  da
espiare (sent. 403/1997); che non vale per i minorenni il divieto  di
benefici penitenziari per tre anni dopo la revoca di altri precedenti
(sent. 436/1999). 
    Ulteriore conferma della esigenza di un allineamento delle regole
dell'esecuzione da applicarsi nei confronti dei  minori  ai  principi
espressi nelle richiamate  pronunce  della  Corte  costituzionale  si
rinviene nel recente DDL 2798/15, approvato dalla Camera dei deputati
il 23 settembre 2015. 
    Il predetto decreto, infatti, che si iscrive in  una  prospettiva
di generale consolidamento delle opportunita' di accesso alle  misure
extracarcerarie e indica, tra i principi e i criteri direttivi per la
riforma dell'ordinamento penitenziario, l'eliminazione di automatismi
e preclusioni che impediscono o rendono meno gravoso, per gli  autori
di  determinate  categorie  di   reati,   l'individualizzazione   del
trattamento rieducativo (art. 31, lett.  e),  prevede  espressamente,
con riferimento al processo  penale  minorile,  «l'adeguamento  delle
norme dell'ordinamento penitenziario  alle  esigenze  educative»  dei
minori (art. 31 lett.  o).  Tale  indicazione  e'  poi  declinata  in
numerosi specifici criteri direttivi che hanno riferimento anche alle
misure alternative alla detenzione, prevedendo  la  loro  conformita'
alle istanze educative del condannato, l'ampliamento dei  criteri  di
accesso e l'eliminazione di ogni automatismo  e  preclusione  per  la
revoca o per la concessione dei benefici penitenziari,  in  contrasto
con  la  funzione  rieducativa  della  pena  e   con   il   principio
dell'individualizzazione del trattamento. 
    Considera la Corte che la sospensione dell'ordine  di  esecuzione
della pena previsto dall'art.  656  comma  5  c.p.p.  rappresenta  il
complemento necessario alla previsione delle misure alternative  alla
detenzione carceraria,  perche'  evita  gli  effetti  desocializzanti
correlati a un  passaggio  diretto  in  cercere  del  condannato  che
provenga  dalla  liberta'  e  che  potrebbe  avere  diritto,   previa
valutazione nel merito rimessa al Tribunale di sorveglianza, a misura
alternativa. 
    Nel caso di condannato per reato commesso da  minorenne,  per  il
quale il sistema di giustizia penale prevede il carcere come  risorsa
estrema, il meccanismo della sospensione della pena, volto ad evitare
un  impatto  con  la  struttura  carceraria,  si  presenta,   quindi,
inestricabilmente connesso  con  la  finalita'  (ri)-educativa  della
pena. Pertanto, il rigido automatismo che preclude la  sospensione  -
peraltro di per se' privo  di  apprezzabile  significato  di  «difesa
sociale»,  fondandosi  la  preclusione  solo  su  presunzione  legale
generale e astratta di aver riportato una condanna per taluni reati -
assume, per il condannato da minorenne,  un  significato  configgente
con la richiamata funzione  (ri)-educatrice  della  pena  perche'  lo
conduce  comunque  in  carcere,   demandandogli   l'attivazione   del
procedimento  per   l'applicazione   di   misure   alternative,   con
protrazione nel tempo di quello stato  detentivo  che,  nel  processo
penale minorile, rappresenta l'ultima opzione praticabile. 
    Alla luce di quanto considerato, appare quindi non manifestamente
infondato  il  prospettato  dubbio  di  costituzionalita',  sotto  il
profilo che il divieto  di  sospensione  dell'esecuzione  della  pena
possa  irrimediabilmente   compromettere   le   specifiche   esigenze
costituzionali che debbono informare il diritto penale minorile. 
    Il dubbio di costituzionalita' non e' superabile alla stregua dei
rilievi svolti dal PG in ordine all'esistenza di istituti, propri del
processo penale minorile (quali il perdono giudiziale,  l'irrilevanza
del fatto,  la  messa  alla  prova...),  che  consentono  risoluzioni
alternative  alla  pena  detentiva,  per   l'evidente   ragione   che
l'esistenza  di  istituti  peculiari  nell'ambito   della   fase   di
cognizione del processo penale minorile non esclude la necessita' che
anche  la  fase  esecutiva  sia  disciplinata  da   regole   ispirate
all'esigenza costituzionalizzata all'art. 31 della Costituzione,  nel
suo collegamento con l'art. 27 terzo comma, di  preservare  eventuali
processi educativi in atto, valorizzando, e non compromettendo,  ogni
sintomo di evoluzione in positivo. 
    Va senz'altro ricordato, in aggiunta, che in tema  di  esecuzione
della pena, con la recente sentenza n. 32/2016 del 27 gennaio 2016 la
Corte costituzionale ha  dichiarato  inammissibile  la  questione  di
costituzionalita' relativa alla norma di cui all'art. 4 decreto-legge
del 23 dicembre 2013 n. 146, convertito con modificazioni nella legge
21 febbraio 2014 n. 10, nella parte in cui, nel caso di reati di  cui
all'art. 4-bis O.P., stabilisce anche per i minorenni la durata della
liberazione anticipata nella misura  di  45  giorni,  anziche'  nella
misura speciale di 75 giorni. 
    In tale sentenza la Corte costituzionale rileva: 
        che mentre il decreto-legge  n.  146/2013  stabiliva  che  ai
condannati per taluno dei  delitti  previsti  dall'art.  4-bis  della
legge 26 luglio 1975,  n.  354,  la  liberazione  anticipata  potesse
essere concessa nella misura di settantacinque giorni nel caso in cui
avessero dato prova,  nel  periodo  di  detenzione,  di  un  concreto
recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo
evolversi della personalita', la legge di  conversione  ha  eliminato
tale   disposizione,   stabilendo   automaticamente   che   la   c.d,
«liberazione anticipata speciale»,  nella  misura  di  settantacinque
giorni per ogni singolo semestre di pena scontata, vada  esclusa  nei
confronti della tipologia di condannati appena detta; 
        che i richiami effettuati dal giudice remittente all'esigenza
di flessibilita' e di protezione dell'infanzia e della gioventu'  che
caratterizza il trattamento del detenuto da minorenne,  nonche'  alle
sentenze  n.  436/1999,  n.  450/1998  e  n.  403/1997  della   Corte
costituzionale, sembrano «perseguire un recupero di  discrezionalita'
valutativa  in  ordine  alla  concessione,  in  favore  del  detenuto
minorenne al momento del fatto, della  piu'  estesa  riduzione  della
pena», laddove «la disposizione censurata non si presta ad un  simile
obiettivo»; 
        che ove anche la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dedotta rispetto all'art. 4 decreto-legge 23  dicembre  2013  n.  146
(convertito con modificazioni nella legge 21  febbraio  2014  n.  10)
venisse accolta, «non ne conseguirebbe un'applicazione  flessibile  e
individualizzata   della   liberazione   anticipata   speciale.    Ne
conseguirebbe,  invece,  una  sua  applicazione   indiscriminata   ed
automatica a tutti  i  detenuti  minorenni  (al  momento  del  fatto)
condannati per reati ostativi»; 
        che un effettivo recupero di  discrezionalita'  implicherebbe
l'introduzione di specifici criteri valutativi la cui  individuazione
spetterebbe, semmai, alla discrezionalita' del legislatore. 
    Ritiene questa Corte d'Appello di sottolineare la differenza  tra
l'esame svolto dalla Corte costituzionale e la  questione  in  questa
sede sollevata. 
    Non si tratta,  qui,  di  un  istituto  premiale  equiparato  dal
legislatore alle misure alternative  alla  detenzione,  quale  e'  la
liberazione anticipata, ne' dei differenti limiti temporali della sua
operativita', dipendenti dalla tipologia dei reati  per  i  quali  e'
intervenuta condanna (fermo restando che l'operativita'  dell'art.  4
decreto-legge  n.  146/2013  e'  comunque  cessata,  stante  la   sua
efficacia soltanto biennale). Si  tratta,  invece,  del  ben  diverso
istituto della sospensione dell'ordine di esecuzione della  pena,  il
cui fondamento sta nell'attribuzione al  P.M.  del  potere-dovere  di
sospendere d'ufficio l'esecuzione prima che la stessa abbia inizio. 
    Plurime sono, secondo dottrina e giurisprudenza, le finalita'  di
tale istituto: 
        rendere piu' agevole  il  ricorso  ai  meccanismi  idonei  ad
ottenere   la   concessione   della    misura    alternativa    prima
dell'esecuzione della pena detentiva,  al  fine  di  evitare  che  il
condannato transiti necessariamente per il carcere; 
        eliminare le disparita' di trattamento tra detenuti,  causate
da circostanze fortuite come una  inadeguata  informazione  incidente
sulla tempestivita' della presentazione dell'istanza; 
        realizzare un decremento del numero dei detenuti, atteso  che
l'introduzione di meccanismi di deflazione detentiva  e'  strumentale
alla concessione di misure alternative; 
        superare inconvenienti  determinati  dalla  prassi,  come  il
notevole  lasso  di  tempo   intercorrente   tra   la   presentazione
dell'istanza e la decisione del Tribunale di sorveglianza in  materia
di misure alternative. 
    Se cosi' e', in presenza di una pena come  quella  in  esame,  di
soli sei mesi di reclusione (tale che ben difficilmente, in  costanza
di detenzione, la richiesta di  misure  alternative  potrebbe  essere
utilmente   esaminata),   le   esigenze   individuate   dalla   Corte
costituzionale nelle sentenze n. 125/1992 e 109/1997, consistenti nel
differenziare il  trattamento  dei  minorenni  rispetto  ai  detenuti
adulti e di eliminare automatismi applicativi  nell'esecuzione  della
pena emergono in tutta la loro  rilevanza,  non  trattandosi  di  «un
recupero di discrezionalita' valutativa» nei confronti dei minorenni,
ma di una applicazione della sospensione  dell'ordine  di  esecuzione
«flessibile  e  individualizzata»  rispetto  alla  giovane  eta'  del
condannato, che a piu' riprese  e'  stata  considerata  dallo  stesso
Giudice  delle  leggi  come  elemento  oggettivo   discretivo   nella
applicazione di svariati istituti processualpenalistici. 
    In definitiva, ritiene questa Corte che la disposizione in  esame
debba essere censurata perche' preclude, automaticamente  e  solo  in
forza del titolo del commesso  reato,  qualsivoglia  discrezionalita'
del Tribunale di Sorveglianza circa la possibilita' che un autore  di
reato minorenne in stato di liberta',  ove  i  processi  educativi  e
rieducativi in atto  lo  consentano,  inizi  l'esecuzione  penale  in
misura alternativa anziche' fare ingresso in carcere. 
    La rilevanza della questione discende, in concreto, dal fatto che
sotto  vari  profili  la  difesa  di  S...   F...   ha   prospettato,
nell'istanza di affidamento in prova al servizio sociale  rivolta  al
Tribunale per i minorenni in funzione di  Tribunale  di  sorveglianza
rispetto all'ordine di esecuzione n. 1189/2015 SIEP, diversi elementi
di valutazione in ordine ai processi educativi e rieducativi in atto: 
        la permanenza per un significativo periodo (un anno e  mezzo)
presso la comunita' educativa Cascina S. Alberto di don Gino Rigoldi; 
        l'avvio di un percorso  psicoterapeutico  privato  a  cadenza
settimanale con la  psicologa  psicoterapeuta  dott.  Virginia  Suigo
(percorso sospeso, come si legge nella nota della dott. Suigo del  10
dicembre  2015,  proprio  a  causa  dell'esecuzione  dell'ordine   di
carcerazione); 
        l'avvio di un progetto educativo di inserimento in  attivita'
riparative di utilita' sociale, concordato con il Servizio  educativo
adolescenti in difficolta' del Comune di Milano in data  30  novembre
2015; 
        la  frequentazione  del  corso  di  orientamento  e  bilancio
attitudinale «Life Skills» organizzato  dall'associazione  «Comunita'
nuova onlus», in vista di un eventuale inserimento  dello  stesso  S.
nel progetto «Centro Reinserimento  Sociale»  promosso  dalla  stessa
associazione. 
    Anche l'Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni, in una  nota
del 7 maggio 2016 in atti, sottolinea: 
        che nel breve  periodo  di  liberta'  intercorso  tra  il  19
febbraio 2016 e l'attuale carcerazione, « V... e' andato a  vivere  a
... con la fidanzata; ha proseguito i colloqui presso  quest'Ufficio,
gli  operatori  del  SEAD,  ha  partecipato   ai   quattro   incontri
organizzati da Comunita' Nuova  nei  giorni  2,  4,  7,  10  marzo  e
finalizzati ad avviare un percorso lavorativo nell'ambito di Garanzia
Giovani», percorso pur difficoltoso per le ripetute  sospensioni  dei
finanziamenti e per il fatto che Smaku non  dispone  di  permesso  di
soggiorno; 
        che  rispetto  alla  situazione  precedente  all'arresto  «si
ritiene importante il mantenimento dei colloqui  psicologici  con  la
dott.ssa Nunzia D'Aloja dell'ASST Santi Paolo  e  Carlo.  I  colloqui
iniziati al Beccaria sano proseguiti  anche  dopo  la  remissione  in
liberta', quindi per libera scelta del giovane che in  passato  aveva
sempre rifiutato anche solo il pensiero di  potersi  confrontare  con
una psicologa». 
    Ne  consegue  che   gli   atti   vanno   trasmessi   alla   Corte
costituzionale, con sospensione del procedimento esecutivo in  corso,
esitato nell'emissione di ordine di esecuzione della  pena  in  forma
carceraria, e con conseguente scarcerazione del  condannato,  se  non
detenuto per altra causa.